La Saga della Cantaridina
E’ un po’ che non si parla di entomologia in queste contrade, vero? In realtà no, è completamente falso, persino il mio collega si è recentemente addentrato nei misteri delle farfalle . E’comunque ora che il sottoscritto dott. Lami torni a fare quel che meglio sa fare, e cioè stuzzicare coleotteri tossici.
Prendiamo ad esempio il film Cosmopolis.
Disclaimer: non ho visto il film in questione né intendo farlo, visto che mi è stato riferito che è così noioso da indurre le persone al suicidio. Inoltre, la reazione tipica dell’uomo medio alla vista di Robert Pattinson è questa. Ciononostante, si presta bene come esempio, perché è il tipo di film che potrebbe attrarre nella stessa sala cinematografica persone molto diverse, che normalmente non incrocerebbero mai le loro strade.
Da una parte, è un film di David Croenenberg con pretese più o meno elevate, e come tale attrarrà cinefili e intellettuali che vorranno poi discutere degli aspetti di regia e sceneggiatura, del valore artistico e sociale dell’opera e tutte quelle robe lì. Dall’altra, il protagonista è il suddetto Pattinson, noto per essere l’uomo più brutto del mondo, ma desiderato da tutte le teen-ager del pianeta in virtù del fatto di aver interpretato quello che oggi si fa passare per “vampiro”; quindi in sala ci sarà anche un certo numero di quattordicenni per cui la sola presenza del loro eroe basta a qualificare questo film come The Twilight Saga: Cosmopolis.
Abbiamo dunque visto come lo stesso film abbia attratto persone molto differenti per ragioni molto differenti. Un fenomeno simile può accadere in ecologia. E’ ovvio che le specie che occupano la stessa nicchia ecologica abbiano le stesse esigenze in fatto di ambiente o cibo, ma cosa potrebbe invece fare andare in solluchero due animali completamente diversi come una mosca volante succhiasangue e un tranquillo aracnide masticatore di muffe del sottobosco?

A sinistra l’Oedemeridae Oedemera femorata, a destra il Meloidae Lytta nuttalli. Immagini Wikimedia Commons.
La risposta è “coleotteri”,come in molti casi difficili della vita di tutti noi. Due famiglie di coleotteri, per la precisione: Oedemeridae e Meloidae. C’è quindi qualcosa che accomuna questi due gruppi, anche se a prima vista non si direbbe. Lo stile di vita è infatti completamente diverso: se gli Oedemeridae (che mangiano legno da larve e polline e nettare da adulti) sono come i buoni vicini tradizionalisti e tranquilli che portano fuori la spazzatura e la domenica vanno a messa, i Meloidae fanno la figura dei deviati psicopatici che ammassano teste mozzate nel frigo. E visto che la gente adora le storie di psicopatici, spendiamo qualche parola su di loro prima di continuare.
I Meloidae contano circa 3000 specie in tutto il mondo, che nell’ambito dei coleotteri è visto come un numero abbastanza moderato – basti pensare che la famiglia più numerosa, gli Staphylinidae, include al momento un totale di 56.000 specie, cioè più di tutti i vertebrati messi insieme. I Meloidae adulti sono per lo più erbivori, e mostrano una notevole varietà di forme e colori. Molte specie hanno la tendenza ad avere un addome ingrossato; in particolare le specie del genere Meloe, che si può trovare anche in Italia, hanno davvero dei derrière poderosi. Visto che fra ragni e insetti sono le femmine che tendono ad avere il posteriore più abbondante (e giuro che anche da qui sento i miei lettori di sesso maschile mormorare “…e non solo fra ragni e insetti!” mentre lanciano fischi di approvazione e si danno il cinque l’un l’altro), si potrebbe pensare che un Meloe con una tale ipertrofia sia per forza una femmina, ma non lasciatevi ingannare: i maschi hanno addomi quasi altrettanto grandi, e si distinguono invece per la forma delle antenne. Queste sono dette “genicolate” e presentano sezioni a gancio con cui aggrapparsi a quelle della femmina durante l’accoppiamento.

Il rapper Rich Boy esprime alcuni apprezzamenti sull’anatomia di Meloe proscarabaeus, tragicamente ignaro del fatto che questo esemplare è in realtà un maschio. Immagini modificate da weknowmemes.com e Wikimedia Commons
E fin qui niente di particolarmente brutto, perché si parla di adulti; ma è nella loro infanzia che questi coleotteri commettono i crimini più atroci. Tutti sanno che molti insetti vanno incontro a metamorfosi; alcuni gruppi però, e fra questi ci sono i Meloidae, non si accontentano di questo e sono detti ipermetamorfici, che sembra una roba uscita da un cartone giapponese sia nel nome che nei fatti. In sostanza, prima di diventare adulto la larva di un Meloidae attraversa quattro stadi completamente diversi nella forma, nelle abilità e nelle funzioni. La prima forma si chiama triungulino; è una larva campodeiforme simile a quelle di coccinella, con tegumento spesso e zampe ben sviluppate e adatte al movimento – si tratta insomma di un esploratore. E infatti la prima cosa che fa una volta uscita dall’uovo è cominciare a cercare la via per giungere alla cena – vale a dire il nido di un altro insetto. In alcune specie il triungulino raggiunge direttamente le uova della vittima designata (che può essere ad esempio una cavalletta); in molte altre, come ad esempio il già citato genere Meloe, le vittime designate sono api solitarie, che se ne vanno in giro per fiori a raccogliere nettare da riportare al nido per le larve che nasceranno. In questo caso il triungulino si arrampica su un fiore e attende un’ape di passaggio, poi si aggrappa saldamente al suo corpo e si fa trasportare al nido; e così la festa ha inizio.
Nel conforto del nido dell’ape, fra scorte di cibo e uova che presto si schiuderanno in grasse larve succose, il nostro Meloidae non ha più bisogno delle fattezze dell’esploratore; e infatti subisce la sua prima trasformazione, diventando una cosiddetta larva scarabeiforme (First Grub): un bagarozzo ciccioso scarsamente mobile e dalle zampe corte, che passa tutto il tempo a nutrirsi delle suddette provviste, di solito aggiungendoci anche le uova e le larve a cui esse erano destinate. E’ una fase di accrescimento e accumulo di scorte, e il nostro Meloidae si accresce, attraversando quattro mute alla fine delle quali si trasforma ancora, questa volta in una forma assolutamente immobile e dal metabolismo rallentato, la fase coarctata o ipnoteca. Alla fine l’ipnoteca diventerà nuovamente una larva scarabeiforme (Second Grub), che però non mangerà: si costruirà un bozzolo (una camera pupale, per dirla in modo elegante), o addirittura se ne rimarrà semplicemente nella vecchia pelle della forma precedente (o esuvia, per voi che frequentate i salotti-bene) fino al momento della vera metamorfosi, in cui emergerà l’adulto. Vista tutta questa serie di forme che si susseguono, non si può non pensare ai Pokèmon – l’unica differenza è che qui c’è molta più prole indifesa che viene divorata viva, ma meno istigazione allo schiavismo.

Compare un triungulino selvatico! Ricercatore usa Microscopia Elettronica a Scansione. E’ super-efficace. Immagine Bologna e Di Giulio (2011).
Fatte le presentazioni, è giunto il momento di svelare il mistero che unisce Meloidae e Oedemeridae, e che si lega alla strana metafora con cui ho aperto l’articolo. Entrambe queste famiglie di coleotteri, infatti, producono cantaridina. Probabilmente non state sobbalzando dalla sorpresa, visto che ho spoilerato questo colpo di scena nel titolo dell’articolo. Problems ? La cantaridina è un terpenoide tossico e corrosivo, che a contatto con la pelle provoca dolorose vesciche, per cui uno dei nomi comuni dei Meloidae è “Blister beetles”. Wikipedia, la fonte di dati più autorevole sulla faccia della Terra, mi informa che ingerirne 10 mg è potenzialmente fatale per un essere umano e che fra i possibili effetti spiacevoli, oltre a danni di vario tipo ai tratti digerente e urinario, c’è anche il priapismo. Quindi, se volete morire in modo doloroso ma esilarante, bere un sorso di cantaridina potrebbe fare al caso vostro.
In realtà trovarsi a ingerire cantaridina forse è più un problema degli sventurati animali predatori che provano a papparsi il coleottero sbagliato più che delle persone, le quali invece continuano a dimostrare una certa avversità al cibarsi d’insetti anche in quest’epoca illuminata e priva di tabù. Ciò non significa che siate al sicuro: se vi trovate a prendere in mano o a disturbare per sbaglio un Meloidae, scatenerete una reazione di autoemorrea (l’abbiamo già incontrata in insetti più familiari, ricordate?), per cui l’animale farà gocciolare fuori dalle articolazioni la propria emolinfa ricca di cantaridina, inzaccherando l’aggressore; non morirete, ma vi beccherete le dolorose vesciche a cui accennavo sopra. Questa caratteristica di sgocciolare liquido giallo al minimo tocco ha fatto guadagnare ai Meloidae un altro soprannome: “Oil beetles”. Guardando al lato positivo, la cantaridina è così potente che, opportunamente diluita, può essere usata per rimuovere verruche e tatuaggi.
Oltre che come arma di difesa dell’adulto, la cantaridina viene anche accumulata nelle uova per far pentire amaramente chi pensasse di mangiarsele; infatti nel mondo moralmente ambiguo dei Meloidae mangiare bambini va benissimo, basta che non siano i tuoi. Negli Oedemeridae entrambi i sessi producono cantaridina, mentre i Meloidae si dimostrano ancora una volta i più depravati: infatti solo il maschio produce cantaridina ma, essendo altruista, durante l’accoppiamento ne inietta una generosa dose nell’apparato genitale della femmina come dono nuziale. Perché non c’è niente di più romantico di una bella pera di tossina ustionante proprio lì.
Dunque abbiamo degli insetti che mangiano la prole indifesa delle api dopo aver rubato loro il cibo, secernono a ogni piè sospinto litri di veleno urticante e usano tale veleno anche nei loro giochini per adulti. Non sembrano esattamente il massimo della simpatia. Eppure nel mondo degli artropodi sono molto più popolari di quanto si potrebbe pensare, e proprio grazie alla cantaridina. In effetti esiste un vasto assortimento di animali attratti da questa tossina, per cui sono detti “cantarifili”. Con “Sono detti” intendo dire “da me”, perché non ho trovato nessuna traduzione italiana della parola “canthariphilous” e quindi ho improvvisato.
Specie appartenenti a varie famiglie di coleotteri (Anthicidae, Endomychidae, Pyrochoridae, Scarabeidae), almeno una di ditteri (Ceratopogonidae) e una di imenotteri (Formicidae) accorrono tutte trafelate e con la bava alla bocca non appena sentono la presenza della dolce tossina nell’aria; gli entomologi possono persino sfruttare questo meccanismo nella raccolta di campioni, usando esche alla cantaridina nelle loro trappole. Uno studio recente di Hashimoto e Hayashi (2014) ha usato proprio queste trappole per caratterizzare la fauna cantarifila di una foresta giapponese. L’esperimento ha fra l’altro rivelato che fa parte di questa categoria anche Idzubius akiyamae, un Opiliones, il primo fra gli aracnidi a essere identificato come amante della cantaridina. E così si torna al dilemma iniziale: cosa spinge animali così profondamente diversi a cercare la stessa insolita risorsa?
Conoscenze sulla biologia e sull’anatomia delle specie catturate hanno suggerito che ciascuna avesse i propri personali motivi per desiderare una sana dose di cantaridina fresca. In diversi casi è possibile che si tratti di una clamorosa svista: alcuni animali dalle diete particolari (sterco, funghi, certe piante…) cercano il cibo a olfatto, e può capitare che l’aroma del loro piatto preferito contenga sostanze chimiche simili alla cantaridina, che invece è prodotta solo dalle nostre due famiglie preferite di Coleotteri. Può quindi accadere che un paffuto Scarabeidae creda di sentire il sopraffino profumo di feci fumanti e, una volta accorso, si ritrovi invece davanti un Meloe inferocito e grondante veleno. La vita è così ingiusta.
Alcune specie dei ditteri Ceratopogonidae invece succhiano proprio l’emolinfa di Oedemeridae e Meloidae, e la cantaridina quindi nel loro caso sembra davvero essere una guida che li dirige ad un ricco pasto. In effetti questi animali hanno una tale reazione pavloviana alla cantaridina che attaccano non solo chi la produce, ma anche altri tipi di artropodi che l’hanno ingerita (inclusi altri Ceratopogonidae), ed è possibile che vadano a ronzare intorno a certi fiori non per il nettare, ma perché emettono sostanze simili alla loro tossina preferita.

Schema che illustra un complesso di artropodi cantarifili, nonché i vari motivi per cui ciascun gruppo è attratto dalla cantaridina. Immagine Hashimoto e Hayashi (2014).
I coleotteri Pyrochroidae e Anthicidae, invece, usano la cantaridina ingerita nello stesso modo in cui la utilizzavano i proprietari originali: per difesa e come dono nuziale per le femmine, e di conseguenza anche come protezione per le uova che queste produrranno. Non è un piano originale, ma questi insetti devono aver pensato che se era pubblicato su riviste scientifiche soggette a peer review allora doveva essere valido.
Che dire degli Opiliones, che come dicevo sono gli ultimi arrivati nella schiera dei cantarifili? Innanzi tutto, giusto per rinfrescare la memoria, i cosiddetti opilionidi sono quegli aracnidi spesso confusi coi ragni ma che non producono né tela né veleno; creature tranquille e innocue, hanno però lo stesso un aspetto così sinistro che neppure io arriverei a definirli proprio adorabili. Gli opilionidi tendono spesso ad aggregarsi in grandi masse per motivi tuttora misteriosi, ma che potrebbero riguardare la difesa dai predatori, la limitazione della perdita d’acqua, la ricerca di partner o il morboso desiderio di donare al mondo la vista di una raccapricciante palla di zampe filiformi . Come in molti artropodi queste aggregazioni vengono scatenate quando gli animali comunicano rilasciando nell’aria specifici feromoni; nel caso dell’opilionide Idzubius akiyamae, il feromone usato per l’aggregazione potrebbe essere proprio la cantaridina, o un composto simile.
L’evoluzione, abbiamo visto, è strana: separa cugini e parenti per centinaia di milioni di anni, facendo esplorare loro strade completamente diverse; salvo poi riunirli casualmente alla stessa tavola quando la portata principale è un veleno urticante.
FONTI
Hashimoto, K., & Hayashi, F. (2014). Cantharidin world in nature: a concealed arthropod assemblage with interactions via the terpenoid cantharidin Entomological Science DOI: 10.1111/ens.12074
Abtahi S. M., Nikbakhtzadeh M. R., Vatandoost H., Mehdinia A., Rahimi-Foroshani A., Shayeghi M. (2012): Quantitative Characterization of Cantharidin in the False Blister Beetle, Oedemera podagrariae ventralis, of the Southern Slopes of Mount Elborz, Iran – Journal of Insect Science, 12(152)
Bologna M. A., Di Giulio A. (2011): Biological and morphological adaptations in the pre-imaginal phases of the beetle family Meloidae – Atti Accademia Nazionale Italiana di Entomologia, Anno LIX (141 – 152)
Nikbakhtzadeh M. R., Dettner K., Boland W., Gade G., Dotterl S. (2007): Intraspecific transfer of cantharidin within selected members of the family Meloidae (Insecta: Coleoptera) – Journal of Insect Physiology 53 (890 – 899)
Bellino bellino, ma potevi mettere più joya nell’explicit.
Maqquindi per sti animali, orrendi e imprevedibili alle umane coscienze, il veleno è una specie di nettare? o feromone liquido? non hanno effetti negativi su di loro?
Sarebbe una bella domanda per “What if di XKCD” il sapere cosa accadrebbe se noi potessimo secernere tutto sto veleno.