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La morte può attendere

ResearchBlogging.orgDopo settimane di assenza rieccoci all’appuntamento con “cose-che-scrivo-quando-davvero-dovrei-lavorare-sta-notte-non-dormo-per-rimettermi-in-pari-sono-un-cretino”, una rubrica che meriterebbe un nome più corto ma questo l’ho già brevettato quindi se non lo usassi sarebbe un po’ come sprecare il cibo. L’articolo di oggi ha come oggetto un lavoro recente fatto dai soggetti di EcoEvo@TCD, un blog ganzo di evoluzionisti di Dublino che sembra un titolo da libro di Joyce ma non lo è.

Una bara a forma di ananas. Se non la volete siete già morti ma qualcuno si è dimenticato di dirvelo.

Una bara a forma di ananas. Se non la volete siete già morti ma qualcuno si è dimenticato di dirvelo.

Ci sono argomenti di conversazione che il grande manuale della Contessa di Grantham consiglia di evitare. Parlare di soldi, problemi di coppia e dell’ultimo film di Paolo Ruffini ad uno sconosciuto è decisamente poco saggio, nonché passibile di commenti “alla Martellone” . Tuttavia c’è un tema che, se trattato, non produrrà unicamente sorrisi stiracchiati e occhiate imbarazzate nel vostro interlocutore, ma vi farà apparire come un soggetto dal tatto paragonabile a quello dello strangolatore di Boston.

La morte.

La fine della vita incute ancora un atavico timore a tutti noi. C’è chi tenta di esorcizzarlo comprandosi bare a forma di ananas e chi invece preferisce non pensarci fino all’ultimo, sperando in un avanzamento tecnologico che gli permetta di andare a fare compagnia ad Arnim Zola in un computer quando arriverà il momento.

Nonostante sia impossibile determinare quanto tempo rimanga da vivere a ciascuno di noi (l’idea che sia predeterminato mi sembra inconsistente come il collegamento tra Kamchatka e Alaska in Risiko) possiamo averne una vaga idea dalle statistiche. L’aspettativa di vita per una donna italiana si aggira sugli 84 anni, mentre per gli uomini si ferma alla sempre ragguardevole età di 79 anni. Sebbene entrambe queste stime vengano superate da quelle fatte riguardo alla durata di Grey’s Anatomy, non possiamo proprio lamentarci. Questo allungamento progressivo della nostra permanenza sul pianeta deriva da alcune “barriere” che H.sapiens ha eretto attorno a sé, come la medicina moderna e una migliore alimentazione, per attenuare gli effetti negativi dell’ambiente sulla nostra salute.

Ora, siccome in ecologia il tatto non è una delle caratteristiche più richieste, possiamo provare a trovare conforto per la nostra transitorietà guardando alla durata della vita negli altri vertebrati.

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Alien(i) contro Predator(i)

E anche questa volta ce la si fa per il rotto della cuffia! Bentornati agli articoli che dovrebbero essere di mille parole ma che le superano abbondantemente perché ho dei grossi problemi di sintesi. È una cosa di cui parlo spesso a Peter Jackson.

Così freddo... così alieno. Immagine Wikimedia Commons

Così freddo… così alieno. Immagine Wikimedia Commons

-Guarda mamma, le prende dalla mano!-.

La bambina non può avere più di 6/7 anni e il piumino la fa assomigliare ad un piccolo uovo di pasqua verde pistacchio mentre, in ginocchio, allunga una mano arrossata dal freddo. Pochi secondi più tardi un animaletto le si avvicina furtivo e, con un movimento rapido, afferra il pezzetto di muffin ai mirtilli offerto. La bambina ride e chiede alla mamma altro dolce, ignara del fatto che dietro a quel tenero musetto da mangiatore di ghiande si nasconde, in realtà, una delle 100 specie aliene più invasive al mondo.

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Le cronache del ghiaccio e del lemming

Due comunicazioni rapidissime. Prossimamente il blog ospiterà anche articoli ridotti (tipo <1000 parole) in una nuova rubrica per cui devo trovare ancora un acronimo intrigante e assolutamente indicato per una persona della mia età. I L.AMA.N.T.IN.I tornano poi al venerdì. Ora che siete pronti ad incominciare mettete come sottofondo questo.

“Ascolta il mio ruggito” è il noto motto di casa Lemmingster. Immagine Wikimedia Commons

“Ascolta il mio ruggito” è il noto motto di casa Lemmingster. Immagine Wikimedia Commons

La tundra è uno di quei posti dove davvero non ci sono le mezze stagioni. Le temperature variano da una media di –15/-25° durante l’inverno a qualche grado sopra lo 0 d’estate. Il permafrost, presente a pochi centimetri dalla superficie, impedisce la crescita di tutto ciò che non sia un muschio, un lichene o piante arbustive come le ericaceae. In molti casi, come nel nordest della Groenlandia, il terreno è poi ricoperto dalla neve per 8/9 mesi ogni anno e l’estate vera e propria non dura che il tempo necessario per un paio di apericene dal prezzo gonfiato. Lo scenario, oltre ad essere perfetto per fare centinaia di foto #OMGSNOW, sembrerebbe ostile a qualsiasi tipo di fauna.

E lo è.

Ma la vita ha trovato il modo e quindi, anche se la quantità di specie non è paragonabile a quella che potremmo osservare in una foresta pluviale, anche nella tundra possiamo trovare animali il cui solo nome evoca leggende.

I lemming.

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Mice and the city

Il post di oggi è frutto dalla lettura di un articolo appena uscito su PlosONE che mi aveva già interessato quando era stato pubblicato in anteprima su PeerJ. Anche Carl Zimmer ha scritto un post sull’argomento e io, lungi da voler riscaldare la minestra, ho pensato di parlarne anche qui, approfittandone per introdurre qualche nozione di ecologia urbana.

Quando pensiamo alla parola “biodiversità” generalmente la associamo a immagini di lussureggianti foreste tropicali o di colorate barriere coralline. Non certo al grigio e monotono panorama cittadino. Tuttavia è sufficiente fare una passeggiata in un parco di sera o guardarsi intorno quando si fa jogging al mattino presto per scoprire che il deserto d’asfalto non è davvero “deserto”.

Sì, sono stato a casa quest’estate. Passiamo oltre.

Molte specie hanno imparato a vivere a stretto contatto con l’uomo. Da sinistra verso destra un piccione selvatico occidentale (Columba livia), uno scarafaggio nero comune (Blatta orientalis) e 4 esemplari di Testudo kawabangii.

Molte specie hanno imparato a vivere a stretto contatto con l’uomo. Da sinistra verso destra un piccione selvatico occidentale (Columba livia), uno scarafaggio nero comune (Blatta orientalis) e 4 esemplari di Testudo kawabangii. Immagini Wikimedia Commons

Più della metà della popolazione mondiale vive oggi in aree definite come “urbane”. Nel mondo le città con oltre 1000000 di abitanti sono circa 300 mentre almeno 20 megalopoli eccedono i 10000000 di concittadini. Tra migrazioni e nuove nascite ogni anno le metropoli guadagnano 67 milioni di persone.

Non siamo ancora su Coruscant ma ci siamo capiti.

Pur trovandosi in luoghi estremamente diversi, le città costituiscono ambienti con caratteristiche simili tra loro. La scarsa vegetazione, l’elevato numero di abitanti e i materiali di cui sono costruiti gli edifici favoriscono una temperatura generalmente più alta in città rispetto alle periferie. I fortunati che hanno la possibilità di visitare Bologna il 15 di Agosto sanno di cosa parlo. I corsi d’acqua, quando presenti, risultano fortemente alterati e ricevono ingenti quantità di nutrienti organici e inorganici frutto delle attività umane nella zona. Anche la composizione del suolo viene spesso alterata dalla presenza di metalli pesanti frutto del traffico cittadino e delle emissioni industriali. Per quanto riguarda le specie animali e vegetali, in città si osserva generalmente un minor numero di specie rispetto alle aree non urbane.

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