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Il miglio verde del panda

ResearchBlogging.orgBentornati al Volo del Dodo, il blog che cerca di trovare la sua naturale regolarità mangiando yogurt a caso. Il post di oggi è un po’ lunghetto ma, quando si parla di una situazione controversa, preferisco spendere due minuti in più. Gli stessi due minuti che non sono stati usati per pensare alla trama di Jurassic World.

Hi babe, I'm hot as fuck. Immagine Wikimedia Commons

Hi babe, I’m hot as fuck. Immagine Wikimedia Commons

Pensate ad una specie a rischio di estinzione.

Alcuni di voi avranno certamente optato per elefanti, delfini, balene o leoni. Altri, i più hipster, avranno scelto il kakapo (Strigops habroptilus) o il batagur (Batagur baska). Ma è probabile che tutti, anche solo per un secondo, abbiate visualizzato nitidamente quella grassa palla bianca e nera.

Il panda.

Il panda gigante (Ailuropoda melanoleuca) è la mascotte della lista rossa dello IUCN, il logo minimal del WWF e il peluche più comprato dai bambini che vogliono adottare a distanza una specie simpatica. Non serve quindi che vi ricordi quanto questo tenero orso stia messo male. Un censimento effettuato nel 2002 aveva trovato solo 1596 panda costretti a vivere in popolazioni isolate nelle catene montuose della Cina. Un numero così limitato di individui, suddivisi per di più in piccoli gruppi, influisce sulla diversità genetica di questa specie, che risulta infatti notevolmente ridotta. Una bassa diversità genetica comporta un maggiore rischio di omozigosi per geni deleteri, come quelli responsabili di alcune malattie, senza contare che una popolazione piccola può essere spazzata via da eventi casuali, dai quali, invece, un numero maggiore di animali riuscirebbe forse a riprendersi. Per sopravvivere il panda necessita quindi di un programma conservazionistico.

O no?

La domanda è meno ipotetica di quanto pensiate. I soldi nella biologia della conservazione sono sempre pochi e l’idea del triage sta prendendo piede. Nonostante i cuccioli di panda che starnutiscono siano particolarmente amati da internet, non nascondo di avere sempre avuto anche io qualche perplessità sulle possibilità di ripresa di questo plantigrado in natura. Perché, sebbene la riduzione dell’habitat sia colpa dell’uomo, la realtà è che il panda fa davvero del suo meglio per rimanerci, tra le specie sull’orlo del baratro.

Cominciamo con il cibo.

Il panda è un orso e, come tale, appartiene all’ordine Carnivora. Gli animali che compongono questo raggruppamento hanno un tratto digerente corto, tipico dei mangiatori di carne (duh). Il problema è che, come un hipster che sostiene di non poter mangiare glutine senza peraltro esserne allergico, il panda si nutre solo di bambù. Il bambù è quella cosa che nemmeno Giorgione orto e cucina riesce a rendere saporita, essendo composto per un fottutissimo 80% di indigeribile cellulosa ed un misero 20% di proteine, carboidrati e grassi. È come prendere un Crispy McBacon, infilarlo dentro una risma di fogli A4 e dargli un morso. Vabbè, direte voi, ci sono un sacco di animali che riescono a vivere sgranocchiando piante. Il problema è complesso perché, vedete, digerire la cellulosa è un casino. Servono alcuni enzimi specifici, cellulasi in questo caso, che sciolgano i legami tra le componenti della cellulosa e la rendano così assimilabile.  Alcuni animali, i ruminanti ad esempio, possiedono dei batteri nel loro tratto digerente che producono questi enzimi. Il panda no. L’intestino del panda è pieno di batteri tipicamente da carnivoro, come quelli appartenenti ai generi Streptococcus e Shigella. Sebbene il panda si nutra solo di bambù, nessuno si è preoccupato di dirlo al suo intestino. Ma non è tutto. In generale i panda in cattività sono notoriamente difficili da far riprodurre e i loro piccoli hanno un tasso di sopravvivenza comparabile all’attesa che ha il mondo per un nuovo film con Paolo Ruffini. Questo perché il peso di un pandino appena nato è 1/900 di quello di sua madre, il più basso rapporto tra tutti i mammiferi, che rende le prime settimane della sua vita un periodo molto critico. Quindi, ricapitolando, questa bestia ha effettuato scelte di dieta discutibile, è difficile da far riprodurre in cattività, ha una bassa diversità genetica e il numero degli individui in natura sta calando sempre di più. Insomma questa bestia sembrerebbe avere le stesse probabilità di sopravvivere di una cristalleria a Metropolis quando ci vive il figlio alieno di Kevin Costner. Forse sarebbe più giusto salutarlo e, come pensavo, lasciare che raggiunga l’oblio?

WTF AM I DOING. Immagine Wikimedia Commons

WTF AM I DOING. Immagine Wikimedia Commons

Forse io non capisco nulla e voi dovreste leggere le prossime righe.

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