Eau de carnivore
Articolo per palati fini oggi! Lunedì prossimo probabilmente (salvo interventi miracolosi di Francesco) il dodo si prenderà una pausa perché il sottoscritto partecipa alla nuova edizione di Famelab! Che è? Ma è il secondo miglior modo per passare un pomeriggio (il primo è ascoltare questo in loop per 7 ore)! Praticamente io e altri soggetti proviamo a spiegare un argomento scientifico in 3 minuti senza l’aiuto di Powerpoint o altre stregonerie billgatesiane. Non vi chiedo di venire ad Ancona giovedì, ma magari buttate un occhio all’edizione più vicina a voi, ne vale la pena.
I furetti (Mustela putorius furo)sono sempre più popolari come animali da compagnia. Sono belli, morbidi, giocherelloni e hanno quel fascino del predatore che piace sempre alle donne.
E puzzano, Dio se puzzano.
La colpa non è la loro. Se ti metti in casa un mustelide aspettandoti che dalle sue ghiandole esca un fresco odore di rose, forse non hai ben capito a cosa va incontro il tuo nuovo simpatico amico nel Cattivo Mondo Esterno (CME). Puzzare può salvargli la vita.
L’ordine dei carnivori contiene alcuni tra i più grandi predatori del pianeta, come l’orso polare (Ursus maritimus) o la tigre (Panthera tigris), ma non tutti i mammiferi che possono vantare l’appartenenza a questo club sono all’apice della catena alimentare. Il furetto dai piedi neri (Mustela nigripes), un parente nordamericano del vostro recente acquisto, passa le sue giornate a cercare di mangiare cani della prateria ma, nel frattempo, deve stare in occhio per non finire spolpato da coyote, gufi reali e tassi. E non è certo l’unico. In giro per il mondo molti carnivori di piccola taglia hanno dovuto arrangiarsi e venire a patti con il fatto che sì, sono predatori ma, spesso, anche prede.
E cosa fa una preda? Si difende. Come avrete capito da altri articoli, l’evoluzione ama prendere qualcosa che c’è già e, con poche modifiche, trasformarlo in qualcos’altro. Così è successo per i mustelidi e per gli altri piccoli carnivori,che hanno sviluppato sostanzialmente due tecniche: la produzione di odori nauseabondi e il vivere in gruppi.
L’utilizzo di odori particolari permea la vita dei mammiferi, con utilizzi che vanno dalla demarcazione di un territorio al riconoscimento dei propri parenti stretti. Alcuni hanno però deciso di prendere questo meccanismo, basato sullo spargere liquidi derivati da alcune ghiandole, e portarlo all’estremo. Le moffette (Mephitis mephitis), ad esempio, sono i classici animaletti bianchi e neri a cui ciascuno di noi pensa quando sentiamo la parola “puzzola”. Come riportato nella vostra guida al cosa non fare in giro per i boschi alla voce “SE HA COLORI ACCESI NON LO TOCCARE FA’ QUELLO CHE TI PARE MA NON TOCCARLO VAI VIA ORA” questi animali bicolore producono, se provocati, una secrezione dall’odore nauseabondo. Siccome a noi piace applicare i nostri standard ad un sacco di cose, quando abbiamo dovuto classificare gli odori emessi dalla moffetta ci siamo trincerati dietro l’incredibile scientificità di “simile ad un misto di aglio, uova marce e gomma bruciata” (cit. Wikipedia). Venire inondati di liquido ghiandolare maleodorante non deve rappresentare un’esperienza piacevole ma, in quanto esseri umani, possiamo ritenerci piuttosto fortunati. Da tempo ormai il nostro naso non è neppure paragonabile in termini di potenza con quello di altri mammiferi che, come nel caso dei cani, fanno molto più affidamento sul’olfatto. Per loro queste secrezioni sono devastanti (mentre guardate il video prestate orecchio al commentatore statunitense. Questi hanno l’atomica). Il liquido emesso dalle ghiandole di una moffetta contiene, tra le altre cose, tioli e tioacetali, composti chimici contenenti zolfo. Mentre i primi sono i veri responsabili della letalità olfattiva di questi animali, i tioacetali rappresentano un’arma più subdola. Considerando che, per idrolisi (aggiunta di acqua), questi composti originano altri tioli, la vittima di una moffetta non potrà sfuggire al devastante odore nemmeno lavandosi.
Questa è l’evoluzione che ci piace signori.
Se invece puzzare non fa per voi (de gustibus) forse girare con alcuni amici potrà sembrarvi una situazione socialmente più accettabile. I grandi carnivori sono notoriamente animali solitari (con le dovute eccezioni) ma alcuni tra quelli più piccoli hanno imparato ad apprezzare la compagnia. I suricati (Suricata suricatta) ad esempio vivono in gruppi numerosi muniti di sentinelle che fanno la guardia mentre il resto della brigata cerca da mangiare. Un individuo isolato, anche se accompagnato da un facocero dalla dieta deviata, è totalmente privo di qualsiasi difesa dagli attacchi di un eventuale predatore di passaggio.
Ma cosa favorisce la scelta di una opzione piuttosto che di un’altra? Perché le moffette non formano enormi mandrie maleodoranti o i suricati non si affidano alle armi chimiche?
Per scoprirlo Theodore Stankowitch e alcuni suoi colleghi hanno analizzato dati riguardanti 181 specie di carnivori diversi, facendo particolare attenzione alle difese che possiedono e alle loro abitudini di vita. Successivamente hanno rivolto la loro attenzione ai predatori di questi animali, vale a dire altri mammiferi o grandi uccelli rapaci, calcolando il rischio che ognuno di loro rappresentava per le potenziali vittime. E qui permettetemi di spezzare una lancia in favore degli autori perché buttata così come ve la sto mettendo io la cosa sembra una boiata clamorosa, ma la mole di dati presi in esame da questo lavoro è impressionante e vi assicuro che non ha nulla da invidiare alle tradizionali attività di “laboratorio umido”.
Sì, faccio roba simile a quella degli autori di questo lavoro. No, non sono imparziale.
Passiamo oltre.

Un bellissimo dendrogramma ci mostra chi ha evoluto odori nauseanti tra le 181 specie analizzate. Sì, i colori diventano più intensi a seconda di quanto sia abile un animale a lanciare le sue secrezioni. Magica scienza! Immagine modificata da Stankowitch et al.2014
I risultati di questo lavoro ci mostrano che, sebbene l’evoluzione delle difese dei carnivori sia complessa, possiamo tracciare qualche generalizzazione.
Durante il giorno furetti & company rischiano soprattutto di finire tra gli artigli di qualche grosso rapace. Questi animali infatti usano in gran parte la vista per cacciare e, se escludiamo i gufi, sono costretti a sfruttare le ore di luce per massimizzare le loro possibilità di portarsi a casa un pasto. Possedere un cattivo odore non fermerà di certo un proiettile piumato in picchiata, ma avere un compagno che ti avvisa e, nel caso non ci riesca, ti aiuti a combattere un predatore può fare la differenza tra la vita e la morte. La socialità è risultata infatti essere il tratto più diffuso tra i piccoli carnivori diurni. Una cosa particolarmente interessante è che questi animali non cacciano in gruppo per tentare di sopraffare prede più grandi, come fanno i leoni per esempio, ma sembrano riunirsi tra loro esclusivamente per proteggersi. Questo comunque non gli impedisce di venire trollati alla grande da un uccello come il drongo (Dicrurus).
Di notte però un paio di occhi in più non fa la differenza. Quando arriva il buio potete contare solo su voi stessi e spesso gli avversari vi si parano davanti all’improvviso, leccandosi i baffi e pregustando l’imminente spuntino fuori pasto. La notte è il regno degli altri mammiferi, più grossi e agguerriti dei nostri protagonisti. Le specie che vivono quotidianamente questo incubo hanno dovuto adattarsi ad una realtà nella quale la ritirata non era un’opzione percorribile, sviluppando tremende armi biologiche con cui difendersi. Queste si sono rivelate incredibilmente efficaci nel contrastare gli attacchi degli avversari, al punto da non rendere necessario girare in gruppo per gli animali che le possiedono.
E qui arriviamo al messaggio centrale del lavoro di Stankowitch: per i piccoli carnivori vale la regola del “se puzzi stai solo”. Le moffette non hanno bisogno di una sentinella che le avvisi dell’avvicinarsi di un predatore, così come alle manguste non serve odorare come il contenuto di un frigo dimenticato aperto al ritorno dalle vacanze.
Quindi, tornando al punto di partenza, se volete una casa che odora di fiori di pesco dimenticate il furetto. Davvero, se volete assolutamente possedere un animale domestico diverso dal solito, provate con un coniglio.
I conigli sanno di essere prede e se ne fregano.
FONTI
Stankowich, T., Haverkamp, P., & Caro, T. (2014). ECOLOGICAL DRIVERS OF ANTIPREDATOR DEFENSES IN CARNIVORES Evolution DOI: 10.1111/evo.12356
Wood, W. F., Sollers, B. G., Dragoo, G. A., & Dragoo, J. W. (2002). Volatile components in defensive spray of the hooded skunk, Mephitis macroura. Journal of chemical ecology, 28(9), 1865-1870.
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