La grande bottega degli ibridi
Lo sapevo che la cosa delle mille parole durava tipo 2/3 articoli e poi ciao. Il post di oggi, oltre a superare di quasi 500 parole la soglia prefissata, è l’ennesimo a tema marino. No, non ho ritrovato improvvisamente quell’amore che sembra unire tutti coloro che, al presentarsi del primo raggio di sole primaverile, corrono ad affollare la playa. Ma lo scoprirete leggendo. Chiudo dicendo che, probabilmente, lunedì prossimo sarà senza articolo causa trasferimento fisico di me stesso presso un’altra università che ha deciso di accordarmi fiducia per la tesi. Se ne pentiranno.
Che cosa intendiamo con la parola “specie”?
La domanda è meno semplice di quando possa sembrare, visto che i modi per definire una così basilare suddivisione si sprecano.
Il “concetto biologico” di specie è, forse, il più celebre tra tutti e lo dobbiamo al famoso biologo tedesco Ernst Mayr. Secondo Mayr una specie è rappresentata da “gruppi di popolazioni naturali effettivamente o potenzialmente interfeconde, isolate riproduttivamente da altri gruppi simili”.
Analizziamo velocemente i punti focali di questa definizione.
Con “interfeconde” intendiamo che gli organismi, riproducendosi, danno alla luce dei piccoli in grado di riprodursi a loro volta.
La questione dell’“isolate riproduttivamente” è leggermente più complessa e rappresenta, se vogliamo, il cuore del concetto biologico.
In pratica due specie diverse, incrociandosi tra loro, non dovrebbero essere in grado di produrre una prole fertile. La questione è parecchio più intricata di così ma, per adesso, vi basti sapere che essere ibridi in un mondo di specie non è semplice. Soprattutto quando l’evoluzione ha sviluppato un numero così vasto di meccanismi per evitare la tua nascita.
L’utilizzo di habitat diversi da parte di due specie potenzialmente interfeconde è, ad esempio, un buon modo per far sì che queste non s’incontrino e cadano vittima dei propri istinti. Se le esigenze ecologiche non permettono questa soluzione, adottare tempi di accoppiamento diversi o comportamenti specifici per conquistare un partner (modello “Hot N Cold” della Dott.ssa K.Perry) possono risultare stratagemmi validi per evitare il fattaccio.
Qualora la scintilla scoccasse ugualmente tra i due degenerati amanti, la selezione naturale ha pensato ad alcuni modi di rendere la cosa addirittura più umiliante di andare in un posto pubblico e urlare il proprio amore per i film di Adam Sandler.
Le parole “impedimento meccanico” applicate alla riproduzione vogliono dire proprio quello che immaginate. Quando la chiave non entra nella serratura o, nel caso ci riuscisse, i gameti non interagiscono tra loro, le possibilità di sentirsi chiamare “papà” sono davvero poche.
Poniamo però il caso che la cena vada bene, il film sia carino e che,una volta tornati a casa, tra i due individui di specie diverse il rapporto vada a gonfie vele. E l’ibrido viene concepito.

Helyconius melopomene e Helyconius cydno, due specie di farfalle che ibridano laddove i loro areali si sovrappongono. Immagini Wikimedia Commons
Questa nuova vita, anche ammesso riesca a nascere (cosa non sempre assicurata) andrà incontro ad un nuovo problema:riprodursi a sua volta. Molti ibridi, infatti, possiedono una ridotta fertilità o sono, addirittura, completamente sterili.
Nell’uomo, come negli altri organismi eucarioti, i nuclei delle cellule del corpo contengono tutti i cromosomi caratteristici della specie in duplice copia (2n). Le uniche cellule cui è permesso di sottrarsi a questa regola e di avere un numero di cromosomi “dimezzato” (n) sono i gameti, le cellule uovo e gli spermatozoi. Il perché è di facile intuizione. Il destino di queste cellule speciali è quello di unirsi e dare vita a un nuovo organismo, che dovrà a sua volta avere lo stesso numero di cromosomi dei suoi genitori (n+n =2n).
Durante la meiosi, il processo di formazione dei gameti a partire da una cellula 2n, i cromosomi fratelli si appaiano e avviene uno scambio reciproco di pezzetti tra loro, il crossing-over. Questo processo è l’essenza della riproduzione sessuale e permette la creazione di nuove varianti di geni che potranno portare vantaggi o svantaggi al loro futuro portatore. Bravi, avete capito.
È il processo che sta alla base dell’evoluzione.
Gli organismi ibridi figli di due specie con un numero di cromosomi diverso non riescono, spesso, a superare il problema della meiosi. Il mulo, ad esempio, possiede 63 cromosomi ed è il prodotto dell’incrocio tra una cavalla (64) e un asino (62). Il numero dispari, unito al fatto che questi cromosomi siano di dimensioni diverse tra loro, costituisce un problema serio al momento dell’appaiamento e porta generalmente all’incapacità di originare gameti utili.
Quando anche un ibrido risultasse fertile, il suo accoppiarsi con una delle generazioni parentali (con un individuo appartenente alla specie dei suoi genitori) darebbe origine a prole spesso svantaggiata e con fitness ridotta rispetto a un purosangue.
Queste ultime problematiche mettono generalmente la parola fine agli incroci che sono riusciti a eludere i controlli precedenti, consegnando all’ibridazione un ruolo marginale nelle popolazioni naturali. O almeno, così la pensava Mayr che nel libro Populations,species and Evolution scrisse “Successful hybridization is indeed a rare phenomenon among animals”.
Oggi sappiamo che circa il 10% degli animali ibridano almeno con un’altra specie. Questo non vuol dire che Mayr fosse solo un tizio con un interessante taglio di capelli, ma piuttosto che i casi scoperti negli ultimi anni hanno costretto a rivalutare il ruolo degli incroci tra specie in natura. Anche all’interno dei pesi massimi.
(N.d.A. Siete liberi comunque di usare questa nozione la prossima volta che qualcuno se ne uscirà con “il comportamento X o Y non è naturale” in vostra presenza)
I tursiopi (Tursiops truncatus), oltre a mangiare caramelle gommose, se la spassano con le pseudorche (Pseudorca crassidens) e originano uno degli ibridi con il nome più interessante: il wholpin (whale+ dolphin, da noi sarebbe balfino). Alcune focene (come Phocoena phocoena e Phocoenoides dalli), incuranti degli sguardi bigotti degli astanti, si incrociano liberamente laddove i loro areali vengono a contatto.
Ma non è tutto.
Nel 1986 al largo delle coste islandesi venne catturata una balenottera. L’animale, una femmina, presentava caratteri intermedi tra una balenottera comune (Balaenoptera physalus) e una balenottera azzurra (Balaenoptera musculus). Analisi morfologiche e molecolari sul cadavere confermarono definitivamente che il cetaceo era, davvero, figlio dell’unione tra i due animali più grandi del pianeta. Tuttavia non fu quella l’unica sorpresa nascosta nelle acque di un luogo dove, a causa della noia, ai vulcani vengono dati nomi pigiando tasti a caso (Eyjafjallajökull).
La femmina era gravida.
Il piccolo, ottenuto dall’accoppiamento con un maschio di B.musculus. provava senza ombra di dubbio la fertilità di questo incrocio.
Uno dei motivi del successo degli ibridi nei cetacei è quella che viene chiamata uniformità cariologica. In pratica, specie diverse di cetacei possiedono lo stesso numero di cromosomi (44), cosa che gli permette di aggirare le normali barriere anti-ibrido.
Ana Rita Amaral dell’Università di Lisbona ha studiato la Stenella clymene, un delfino presente normalmente nell’oceano Atlantico lungo tutta la fascia tropicale. Questo cetaceo ha sempre rappresentato un problema per la classificazione, in quanto presenta caratteristiche fisiche e comportamentali simili ad altri due membri del genere Stenella: S. coeruleoalba e S.longirostris.
Cercando di fare chiarezza, Amaral e colleghi hanno analizzato il DNA nucleare e quello mitocondriale (mtDNA) di S.clymene. I mitocondri sono organelli presenti all’interno delle cellule eucariote e hanno un DNA tutto loro che, a differenza di quello “classico” nucleare, viene trasmesso unicamente per via materna. Questa sua caratteristica lo rende estremamente utile per ricostruire la parentela di un organismo. Se all’interno dello stesso individuo convivono un DNA nucleare più simile ad una specie e un mitocondriale più affine ad un’altra ci sono buone probabilità che stiamo osservando un ibrido.
Come nel caso di S.clymene.
Con buona parte del DNA mitocondriale in comune con S.coeruleoalba e quello nucleare somigliante a S.longirostris, il nostro delfino sembrerebbe essere l’ennesimo ibrido, se non avesse una sostanziale differenza rispetto agli esempi precedenti: S.clymene è una specie nettamente separata rispetto a quelle che l’hanno originata.
Questo processo, chiamato “speciazione per ibridazione”, non è un fenomeno nuovo, anche se è la prima volta che viene riscontrato nei cetacei.
Tuttavia per “fissare” una nuova specie occorre che i suoi appartenenti si riproducano principalmente tra loro e, nel caso di S.clymene, la cosa non deve essere stata immediata. Tutte e tre le specie di Stenella vivono nella stessa zona e occupano nicchie ecologiche simili, quindi una segregazione sulla base di habitat o risorse usate non erano la risposta più semplice. L’ipotesi avanzata da Amaral e colleghi è che S.clymene si sia separata dalle altre due specie grazie a ciò che le aveva permesso di esistere in un primo momento: il sesso con gli individui giusti. È possibile che, al momento della ricerca di un partner, gli esemplari di S.clymene abbiano preferito individui visivamente e dal comportamento simili a loro (e quindi ibridi a loro volta) rispetto alle altre stenelle. Questo avrebbe, gradualmente, isolato riproduttivamente questi animali e favorito la nascita della nuova specie.
Quindi, anche se sono stati osservati gruppi misti di S.clymene e S.longirostris, le due specie sarebbero oramai relativamente isolate e si frequenterebbero semplicemente come due buoni membri di una famiglia allargata.
Perché anche un ibrido ha bisogno di compagnia.
FONTI
- Amaral, A. R., Lovewell, G., Coelho, M. M., Amato, G., & Rosenbaum, H. C. (2014). Hybrid Speciation in a Marine Mammal: The Clymene Dolphin (Stenella clymene). PloS one, 9(1), e83645.
- Mallet, J. (2007). Hybrid speciation. Nature, 446(7133), 279–83.