Il museo che non dovrebbe stare in un museo
Il nuovo articolo è una recensione del museo che io e altri soggetti abbiamo visitato un mese fa. oggi parliamo del MuSe. La prima parte è la mia mentre, a seguire, trovate anche altre impressioni anonime. Passando ad altro, Francesco ha anche disegnato diversi loghi (Lo ha fatto lui perchè io non merito di avere il pollice opponibile, quando si tratta di tenere una matita in mano) che potete trovare qui. Votate quello che vi piace di più!
Gli edifici pieni di vetrate mi incutono timore.
L’origine di questa inquietudine deriva probabilmente da quando, atterrato al modernissimo aeroporto di Dubai, venni selezionato per un controllo totale (dai bagagli ai calzini) dalla polizia aeroportuale.
No, non si arrivò ai guanti di lattice.
Sì, la scatola che li conteneva era nella stanza.
Questo episodio mi tornò alla memoria quando, tentennando, varcai per la prima volta la soglia del MuSe. Inaugurato quest’estate, il nuovo museo delle scienze di Trento vanta ottime recensioni da parte di chiunque lo abbia visitato. Io, che ho testato l’istinto paterno/materno dei miei genitori sin dalla più tenera età per farmi accompagnare in tutti i musei di storia naturale, non potevo mancare. Temendo di incappare nuovamente in una trappola di cristallo pregai diversi colleghi di unirsi alla spedizione. Molti, accettarono di buon grado, probabilmente ignari del pericolo.
E così, in una gelida mattinata di ottobre, partimmo da Bologna con direzione Trento. Tre ore dopo il MuSe ci ha accolto, con le sue numerose vetrate ed il parcheggio sotterraneo dall’entrata più stretta mai concepita dall’uomo.
Dopo avere pagato il biglietto ed avere appurato che no, “accompagnatore di biotecnologi” non è una categoria a cui è permesso entrare gratis, mi sono fermato a guardare l’edificio. Questo riflette senza dubbio il genio perverso del suo architetto, Renzo Piano, il quale ha realizzato una struttura piramidale di 6 piani, ciascuno più piccolo e stretto rispetto al sottostante. La funzione, spiegatami dal gentilissimo staff, non è di intrappolare l’avventore che deve prendere una coincidenza ed è già in ritardo, bensì quella di espandere gradualmente l’orizzonte del visitatore. L’ultimo piano, quello da cui si dovrebbe iniziare, è incentrato sulla storia geologica e faunistica delle Alpi. Il piano 0, quello in cui la visita dovrebbe terminare, fornisce una visione più globale della storia della vita sulla terra.
Chiaramente abbiamo visitato il museo al contrario.
Senza recensire ogni piano a mo’ di lista elencherò brevemente i motivi per cui, alla fine, ho fatto pace con le vetrate e ho dato il mio seal of approval al MuSe.
Partiamo dall’osservazione più scontata: il posto era pieno. Un museo della scienza sold-out. E non pieno di scolaresche con bambini tristi che si tengono per mano. Oltre alle famiglie, che rappresentano probabilmente buona parte dei visitatori del MuSe, il museo era pieno di gruppi di visitatori e coppie. Mi voglio fermare un secondo sull’ultima categoria. Da sempre il museo avallato per “l’uscita di coppia” è quello che propone la retrospettiva di un artista morto suicida a 28 anni. Una volta all’interno della esposizione, la coppia è facilmente identificabile: lei è colta, interessata e attenta alle opere dell’artista. Lui sfoggia la sua migliore espressione di meraviglia davanti ad un posacenere. Dentro il MuSe ho invece avuto il piacere di vedere fidanzati incantati da una stampante 3D e da uno scheletro di Ophthalmosaurus.
Senza alcun dubbio il MuSe colpisce poi per la spettacolarità delle sue istallazioni.
Tutti gli animali esposti, dagli scheletri ai reperti tassidermizzati (gli animali impagliati), sono collocati a pochi centimetri dal visitatore. L’assenza delle classiche teche di vetro abbatte la classica “barriera museale” ed è una delle migliori tecniche adottate del MuSe (è la strategia che ha portato al successo musei come la Grande Galerie de l’Évolution di Parigi, mica pizza e fichi). Non sorprende quindi che molti visitatori tentino di accarezzare le bestiole, cosa un tempo permessa ma ora vietata a tutti con l’unica eccezione dei visitatori non vedenti. Posso capire questa scelta, i reperti si usurano velocemente e non è sempre facile sostituirli. Ok ok molti scheletri sono modelli. Gli unici fossili autentici sono all’interno di teche old style mentre tutti quelli esposti, dal cranio di triceratopo al dilofosauro, sono repliche. Ma gli amanti della biodiversità non rimarranno delusi. La grande esposizione centrale ospita decine di animali sospesi nel vuoto, realizzando un colpo d’occhio davvero impressionante. La serra, anche se giovane, possiede decine di piante estremamente caratteristiche, come la splendida Dioscorea elephantipes.
Per quanto riguarda l’interattività il MuSe è ampiamente “sul pezzo”. Il piano terra è, in realtà, un parco giochi dove bambini più o meno grandi (alcuni con quasi due lauree) possono testare diversi fenomeni scientifici. Semplificati? Sicuramente. Ma non ricordo l’ultima volta che ho visto un pargolo correre eccitato a imparare della trigonometria. Tutti i piani sono poi dotati di diversi tablet e schermi interattivi, dove poter approfondire l’argomento dell’istallazione che stanno guardando.
E che dire dei contenuti?
Vi faccio un esempio. Il terzo piano del museo ospita, oltre a una notevole raccolta di animali caratteristici della zona alpina, alcuni tavoli dove vengono spiegati dei concetti chiave dell’ecologia. La regola di Bergman e quella di Allen sono due teorie molto famose che cercano di spiegare gli adattamenti delle popolazioni animali al variare del clima. Secondo Bergman specie animali di dimensioni maggiori si troveranno, mediamente, a latitudini maggiori rispetto a quelle di taglia minore. La regola di Allen stabilisce invece che le appendici degli animali di climi freddi saranno più corte rispetto a quelle di animali simili ritrovabili in climi caldi. Entrambe le teorie sono regole piuttosto generiche che affondano le loro radici nei concetti di volume e superficie. Un basso rapporto superficie/volume permette agli animali dei climi freddi di conservare al meglio la temperatura senza sprecarla. Al MuSe questi due concetti sono spiegati da 4 righe a testa in un pannello che ha anche alcuni esempi. Sotto a questo pannello ci sono alcuni cubi per permettere a chiunque volesse di provare di creare il rapporto superficie/volume più ottimale e, in definitiva, capire che quelle teorie hanno un senso. Non si tratta di banalizzare qualcosa ma di renderlo comprensibile a tutti.
Non siamo riusciti a visitare i laboratori di ricerca del museo. Perché ci fanno ricerca al MuSe, sapete? Ne è un esempio Sky Islands (link), il progetto che andrà a esplorare alcune delle più remote foreste del Mozambico. Che c’entrano le isole? Beh, queste foreste sono collocate sulla cima di svariate montagne e sono, tecnicamente parlando, isole. Gli animali e le piante che le abitano avranno avuto modo di sperimentare pressioni selettive diverse rispetto a quelle che agiscono sui loro cugini a valle. Sky Islands è uno di quei progetti che ti fanno correre a comprare un Fedora e a pulire gli scarponi, nella speranza che accettino qualche assistente.
Ovviamente, essendo un posto non progettato da me reale, il MuSe ha anche qualche pecca, ma nulla di devastante. Ci sono alcuni piani indubbiamente più “attrattivi” di altri e istallazioni di cui non ho compreso assolutamente la funzione, come la gigantesca capanna neandertaliana o il “simulatore di montagna”. Anche i vari acquari alle pareti sono un po’ buttati a caso, ma per una critica specializzata su questo argomento ci vediamo tra poco.
Ma, come dicevo, l’impressione che ho avuto è stata largamente positiva.
Perché alla fine la differenza tra il MuSe e gli altri musei italiani è, allo stesso tempo, sottile e abissale. In un paese dove i giornali pubblicano articoli che descrivono l’evoluzionismo come un concetto sorpassato il dovere di un museo sta nell’instillare meraviglia. A nulla servono una stesa infinita di scheletri, fossili ecc. se il visitatore non sente quella connessione con l’argomento, quel genuino interesse per la cosa che sta guardando. Un’animazione rappresentante l’albero della vita che permette a chi lo guarda di capire subito che “siamo parenti delle piante” vale più di 15 cladogrammi, anche se questi ultimi hanno i nodi supportati da 100000 ripetizioni di bootstrap. Non tutti hanno avuto il privilegio di ottenere un’educazione scientifica avanzata ma, e qui occhio alla bomba, tutti votano/comprano cose/prendono decisioni quotidiane. E serve a poco lamentarsi della gggente che crede a boiate come le scie chimiche, i vaccini che causano autismo e compagnia bella. Chiediamoci perché queste persone si rifugiano in spiegazioni illogiche ma di semplice comprensione, rispetto a cercare dati che non sono nascosti da nessuno, ma che magari sono sotto forma di numeri o letteratura specialistica. È a loro che parlano progetti come FameLab, i vari progetti di citizen science e i festival della scienza come quello che si svolge ogni anno a Genova. Sono tutti passi nella direzione giusta.
Il MuSe è un altro di questi.
NESSUNO SFUGGE AGLI ACQUARI (Contributo Anonimo)
Uno dei miei scrittori preferiti è H. P. Lovecraft. Le sue opere si discostano dai tradizionali racconti dell’orrore in quanto utilizzano l’incomprensibile e l’inesplicabile come elementi di spavento. Il protagonista si trova di fronte a situazioni magari apparentemente normali, ma che per un lieve dettaglio fuori posto appaiono innaturali; e la cosa più orribile è che non è possibile capire lo scopo delle macchinazioni infernali che stanno avvenendo in piani di realtà ben al di fuori della nostra comprensione. Questa sensazione di orrore cosmico e impotenza intellettuale può essere sperimentata da chiunque visitando il Muse e rendendosi lentamente conto che, senza alcun perché o motivo apparente, a ogni piano è collocato almeno un acquario.
Nessuna didascalia che ne spieghi i contenuti, nessun collegamento col resto dell’esposizione. Solo un grosso acquario in un angolo, contenente pesci neanche particolarmente belli o rappresentativi, ma che sembrano trovarsi lì più che altro perché non c’era niente di meglio nel negozio di animali dall’altra parte della strada.
Questo è uno dei tanti sintomi che il Muse è ancora troppo giovane per realizzare appieno le sue potenzialità. Un enorme, bellissimo spazio, ancora troppo grande per quello che contiene. Infatti, mentre i piani dedicati alla storia della vita e alla fauna locale sono interessanti, e lo spazio centrale con gli animali imbalsamati che arrivano fino al soffitto è spettacolare, il resto del museo sembra un po’ riempito alla bell’e meglio, per dirla gergalmente.
Ad esempio, in una mossa inaspettata per quello che in effetti è finito per diventare essenzialmente un museo di Scienze Naturali, il Muse contiene uno straordinario numero di Kinect per Xbox 360. Posso solo ipotizzare che siano parte di un rito volto a scannerizzare e immagazzinare essenze umane da usare in seguito nell’evocazione del Grande Cthulhu, catalizzata dai misteriosi acquari posti a ogni angolo dell’edificio. Questo, oppure i curatori non sapevano come riempire UN INTERO FOTTUTO PIANO e hanno razziato un MediaWorld.
E’ probabile che negli anni a venire il museo evolva e si riempia sempre di più di contenuti interessanti – e, mi auguro, anche di qualche didascalia e spiegazione in più, perché se da una parte l’approccio spettacolare è bellissimo ed efficace, dall’altra ridurre il tutto solo a questo approccio rischia di mandare il messaggio che le scienze naturali sono solo un giocherello da bambini, mentre magari pinacoteche e musei archeologici più tradizionalmente rivolti agli adulti appaiono come roba seria e intellettuale. E questo non va bene, perché il modo migliore di educare i bambini, che sono il futuro, è di educare i loro genitori, che sono le loro guide e il loro presente.
In ogni caso, per il momento il Muse si becca un 10 per la presentazione e un 5 per i contenuti.
Mah ragazzi ora detto fra noi, ma ci potevano anche far entrare gratis, voglio dire agli Uffizi quelli di storia dell’arte entran gratis…il dinosauro che girava per il museo era molto simpatico e in generale sono d’accordo con Franci per i contenuti, anche se io darei un 7 via, poi mi sono consolato in gelateria, ma questa è un’altra storia.
Riguardo l’uso dell’avverbio ‘gergalmente’ da parte di Franci, ho ancora più perplessità.
Attenzione vorrei fare proposte mie per questo logo
Grazie, mi son fatto un’idea dei contenuti, io non sono riuscito ad entrare venerdì scorso. http://adopera.wordpress.com/2014/01/06/non-andate-al-muse/