Un insetto a orologeria
Conoscere Francesco Lami vuol dire discutere, e spesso anche. I suoi gusti in materia cinematografica includono quasi sempre oscuri filmacci degli anni 90, oppure nuove e scintillanti pellicole dalla trama lunga quanto mezzo foglio A4. Nel caso dovessi postare un suo articolo senza prima averne parlato con lui per “smussarne gli angoli” verrei contattato, nel giro di 7 secondi, dalla polizia postale. Un giorno abbiamo discusso su quanto tempo fa fosse vissuto Dilophosaurus wetherilli. Aveva ragione lui. E ora, ogni giorno, pubblica sulla mia bacheca una diversa immagine della dannata bestia. Ma sto divagando, e tutto questo non vi impedirà di godervi il suo secondo guest post!
L’uomo e gli animali. La contrapposizione tanto inutile (l’uomo è solo una delle numerosissime specie di animali, non qualcosa di al di fuori da esse) quanto diffusa nella nostra cultura. Uno dei motivi che la alimentano è forse la straordinaria capacità dell’uomo di immaginare e creare una varietà infinita di macchine e strumenti, varietà che forse a molti sembra superare quella del mondo zoologico. Però, se da una parte abbiamo la mente più raffinata che l’evoluzione abbia creato, dall’altra abbiamo 4 miliardi di anni e un intero pianeta di continue mutazioni casuali e selezione naturale.
Il che non è da poco, visto che fra le altre cose hanno originato la mente di cui sopra.
E poi diciamocelo, il nostro intelletto è anche responsabile della creazione di Twilight e Episodio I. Non è una cosa di cui vantarsi. E quanto tempo avete passato oggi a cercare immagini di Grumpy Cat su internet? Appunto. Vergognatevi.
Il risultato comunque è che molte delle invenzioni umane in realtà già esistevano in una qualche forma biologica. Il mio eroe d’infanzia, il naturalista, scrittore e pioniere della conservazione Gerald Durrell, dedica un capitolo del suo libro Incontri con animali a elencare alcuni degli esempi più classici e noti, che vanno dalla generazione di elettricità nell’anguilla elettrica al sonar dei pipistrelli. In questi casi, ovviamente, esistono comunque delle differenze fra la macchina e l’animale: il risultato può essere lo stesso, ma il meccanismo col quale viene ottenuto è molto diverso. E’ più difficile immaginare un animale che imiti perfettamente il meccanismo di alcune invenzioni umane, anche qualcosa di semplice come viti, bulloni, ingranaggi e riviste pornografiche.
Questo problema è già stato affrontato in un un saggio del celebre paleontologo Stephen Jay Gould. Noto alla comunità scientifica per la teoria degli equilibri punteggiati, messa a punto insieme al collega Niles Eldredge, Gould è passato alla storia anche per una amichevole rivalità con l’etologo e biologo evoluzionista Richard Dawkins, che lo chiamava affettuosamente “quel ciccione bastardo”*.
Gould è stato un prominente divulgatore scientifico ed ha lasciato innumerevoli raccolte di saggi dedicate all’evoluzione. Personalmente trovo che una frazione non indifferente dei suoi scritti siano realizzati in modo noioso, il che ne ammazza un po’ lo scopo didattico; molti però sono interessanti, e considerati dei classici. Uno di quelli interessanti è dedicato a una domanda: perché non esistono animali con le ruote? L’autore fa notare che in realtà esempi di ruote nel mondo biologico esistono, a partire dal motore molecolare alla base del flagello dei batteri, che ne permette il movimento. Qui si è però, appunto, a livello molecolare, con proteine immerse in citoplasma e attraversanti una membrana cellulare semifluida, dove le varie parti possono muoversi liberamente e separatamente rispetto all’insieme. Diverso è il caso dei tessuti di organismi pluricellulari, che necessitano di una continuità con il corpo: una vera ruota, per ruotare, non deve essere fusa con l’insieme, e perciò è impossibile che si evolva fra gli animali. Il famoso orologiaio cieco di Dawkins, simbolo della casualità del processo evolutivo, resterebbe quindi una semplice metafora, perché in nessun animale potremmo trovare strutture equivalenti ai meccanismi di un orologio.
E tuttavia, senza infrangere questa limitazione, alcuni animali hanno evoluto le loro personali versioni di meccanismi che noi conosciamo bene. Questi animali sono ovviamente gli insetti, perché quando sei il più grande e diversificato gruppo di esseri viventi mai esistito, è probabile che tu abbia già inventato qualsiasi cosa per pura legge statistica. E mentre attendiamo ancora con ansia la scoperta di insetti che usano internet per ridere dei lolcats, o che sfogliano con torbida passione riviste pornografiche rappresentanti giovani femmine non ancora uscite dallo stadio di pupa, abbiamo già qualche esempio di insetti che fanno uso di viti, bulloni e ingranaggi. Nei loro corpi. FRANKENBUG!
Il primo gruppo di insetti che andiamo a prendere in considerazione sono i Curculionidi, una famiglia che, con le sue 40000 specie, è la seconda per diversità fra i Coleotteri. E’ dura la vita degli entomologi, ma almeno non si rischia di annoiarsi. E poi poteva andare peggio: potevo essere un ornitologo, come il gestore del blog. I Curculionidi sono caratterizzati dal rostro, vale a dire che hanno un muso allungato con in cima l’apparato boccale. In questo modo possono ficcare il loro lunghissimo naso in profondità nei tessuti vegetali di cui si nutrono; molti sono infatti insetti dannosi per le coltivazioni.

Un Curculionide entra in un bar, e il barista dice: “Ehi amico, perché quel muso lungo?”. Buona questa. Tutti ridono. Rullo di tamburi. Sipario. Immagine Wikimedia Commons
In una specie di Curculionide di Papua, Trigonopterus oblongus, è stato scoperto che l’articolazione fra due dei segmenti della zampa ha una struttura sorprendentemente simile a una vite in un bullone. Questo è un fatto nuovo nel mondo animale; noi, per esempio, abbiamo articolazioni del tipo ball-and-socket, che potrei anche tradurre come “palle e cavità” ma forse è meglio di no perché questo blog è family friendly. Un’analisi preliminare sembra indicare che anche altri generi di Curculionidi, e forse l’intera famiglia, potrebbero avere questo tipo di articolazione. Anche i minori.

La verità che ogni minuto c’è qualcuno, nel mondo, che fa la Tac alle cosce dei bacherozzi è troppo inquietante per la maggior parte delle persone, che scelgono di ignorarla. Immagine van de Kamp et al. (2011)
Un altro insetto che ha saputo replicare meccanismi prima ritenuti esclusivi delle macchine è Issus coleoptratus, un Omottero Fulgoroideo (da non confondere con Membracoidei e Cercopidei). I Fulgoroidei (e gli altri gruppi vicini) rappresentano il cruccio dell’uomo della strada che, quando posa lo sguardo su di essi, pensa: “Cos’è questa cosa che non è una mosca, una cimice o una cavalletta ma assomiglia a tutti e tre? Buon dio, dammi un segno!”. E l’uomo della strada si cruccia e perde la sua pace, perché nel profondo del suo cuore sa che, senza un minimo background zoologico, quella domanda sarà destinata a rimanere senza risposta; alla fine della sua vita, quando la Signora con la Falce verrà a reclamarlo e la luce abbandonerà i suoi occhi, le ultime parole che mormorerà saranno “Cos’era quell’insetto di m***a?” .
il che confonderà i suoi cari a tal punto che al confronto il “Rosabella” di Orson Welles mi fa un baffo.
Beh, non ti preoccupare, dolce uomo della strada, perché ci sono qui io a rivelarti che Fulgoroidei e simili sono tutti parenti delle cicale (e in minor misura delle cimici), e passano le loro giornate a succhiare i fluidi vegetali.
Issus coleoptratus e soci sono campioni saltatori; balzano spingendosi con le zampe posteriori su un piano quasi orizzontale al corpo, il che significa che il movimento delle zampe dev’essere perfettamente sincronizzato, o nel salto si ritroverebbero a girare su se stessi come il pugnale di Richard Dawkins nella schiena di Stephen Jay Gould*. Come fare? Basta avere un paio di strutture ad ingranaggio alla base delle coxae (il segmento della zampa più vicino al corpo). In questo modo, durante il salto l’ingranaggio di una zampa interagisce con quello dell’altra, costringendola a muoversi in ogni caso: le zampe cominciano a muoversi entrambe nell’arco di 30 microsecondi l’una dall’altra. La cosa singolare è che questo meccanismo è presente solo negli stadi giovanili (neanide) dell’insetto, mentre l’adulto, che pure è un saltatore più efficiente, ne è privo. E’ probabile che la maggior efficienza sia derivata da altri fattori, ma perché perdere l’ingranaggio? Prima di diventare adulta, la neanide affronta una serie di mute; se i denti dell’ingranaggio si rompessero, il meccanismo potrebbe essere riparato alla muta successiva, in cui l’insetto si dota di un esoscheletro nuovo di zecca, ingranaggi compresi. Gli adulti, non potendo fare più mute, non potrebbero più riparare eventuali guasti al sistema, e quindi se ne liberano. O perlomeno, questo è uno dei modi in cui tentano di venderla gli autori dello studio; è abbastanza convincente ma non ci sono garanzie, perché si sa che quando sei uno scienziato e devi scrivere un articolo su una cosa psichedelica come un bacherozzo con le gambe a orologeria, faresti di tutto per dare un senso alla cosa.

Lo stadio giovanile di Issus coleoptratus e le sue incredibili cosce a ingranaggi. Se qualcuno di voi porci si stava chiedendo quale potesse essere l’aspetto di immagini pornografiche rivolte a degli insetti, questo forse ne è un esempio. Immagine Burrows e Sutton (2013)
Chiaramente, tutti gli organismi non sono altro che macchine straordinariamente complesse e limitate dalle leggi fisiche, e quindi sono moltissimi gli esempi di “ingegneria biologica” che trovano dei corrispettivi nelle nostre creazioni artificiali. I casi presentati sono però particolarmente emblematici . Esiste un’intera disciplina, la biomimetica volta a imitare strutture biologiche per migliorare la tecnologia umana; eppure di giorno in giorno scopriamo, come in questi casi, che anche le invenzioni che consideriamo esclusivamente nostre e inimitabili sono già state inventate dall’orologiaio cieco.
*Potrebbe non essere accaduto.
FONTI
- Burrows, M., & Sutton, G. (2013). Interacting gears synchronize propulsive leg movements in a jumping insect. Science, 341(6151), 1254-1256.
- van de Kamp, T., Vagovič, P., Baumbach, T., & Riedel, A. (2011). A biological screw in a beetle’s leg. Science, 333(6038), 52-52.
- Gould S. J. (2008). Quando I cavalli avevano le dita. Settima edizione Saggi Universale Economica Feltrinelli.
Molto interessante soprattutto alla fine!
A, e buon Dio si scrive con la maiuscola a meno che, certo, non si tratti di una tua licenza poetica.