Isole sulla terra e annidamento senza alcun nido

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Salve, sempre il vostro Francesco Lami a salvare la situazione quando il boss è occupato . Il mio ultimo successo era fotosintetico ma non sintetico. Proviamo con qualcosa di più breve e leggero? Lol no, scherzavo, ma di certo l’argomento è molto diverso.

Invito le lettrici del gentil sesso a prepararsi spiritualmente e magari a rifarsi il trucco, perché sto per presentarvi un autentico Maschio della specie.

Alpha as fuck. Immagine modificata da Francesco Lami.

Alpha as fuck. Immagine modificata Wikimedia Commons.

Questo notevole manzo è nient’altri che Edward Osborne Wilson, uno dei più importanti entomologi viventi – per la precisione un mirmecologo, cioè uno studioso di formiche. Vista la natura sociale di questi insetti, l’invenzione da parte di Wilson della disciplina della sociobiologia è stata naturale come l’invenzione della kryptonite da parte di scrittori alle corde che si erano resi conto che rendere il loro eroe invulnerabile avrebbe presto ammazzato la tensione narrativa.

Il vecchio Ed ha anche dato un notevole contributo alla conservazione e all’ecologia; in questo frangente, fondamentale è stata la formulazione, insieme all’oggi defunto collega Robert MacArthur, della teoria della biogeografia delle isole, che a Biologia insegnano in almeno 11 corsi diversi. Ma che cos’è, poi, un’isola?

In ecologia, un’isola è una qualsiasi porzione di spazio che presenta forti differenze fisiche, chimiche o ecologiche rispetto al territorio in cui è inserito e che lo circonda. Per la sorpresa di pressoché nessuno, un’isola nel mare è un esempio di isola ecologica. Più inaspettatamente, anche un lago in un “mare” di terra è un’isola, il che è così contrario alle convezioni sociali che i repubblicani conservatori stanno tentando di rendere illegale il matrimonio fra laghi. Ma c’è di più: anche un bosco in mezzo a una prateria o una radura in un bosco sono isole, e così via.

Cast Away: Biogeografia delle isole deserte. Eheheheheh. Immagine modificata da Francesco Lami.

Cast Away: Biogeografia delle isole deserte. Eheheheheh. Immagine modificata da tartapedia.it

La teoria di MacArthur e Wilson mette in relazione il numero di specie di un’isola con la sua dimensione; i due studiosi notano astutamente che più l’isola è grande, più specie ci sono. So che adesso state facendo tutti i superiori dicendo “Duh! E’ ovvio!” e dandovi il cinque l’un l’altro perché siete furbi quanto scienziati, ma la teoria è molto più articolata di così (oltre ad aver subito numerose modifiche anche da parte di altri studiosi). Coinvolge, fra le altre cose, il ruolo dell’immigrazione e dell’estinzione nel mantenere un determinato numero di specie su un’isola – numero che, in teoria, è più o meno stabile e si può prevedere. Oltre alle dimensioni, importante comunque è anche la distanza dal “continente” cioè dal serbatoio da cui arrivano gli individui che colonizzano le isole. Per fare un po’ di giustizia alla teoria di MacArthur e Wilson dovrei scrivere un intero articolo a parte e andremmo un po’ fuori tema, mentre ho promesso di rendere questo articolo breve e leggero. Quindi vi esorto a saziare la vostra curiosità altrove, anche solo su Wikipedia.

Se davvero siete furbi come scienziati, come vi vantavate giusto un paragrafo fa, avrete già intuito la grande importanza che la teoria delle isole riveste nella biologia della conservazione. Infatti, secondo la definizione di isola ecologica, anche aree naturalistiche immerse in una matrice antropizzata si possono definire isole; e capirete che, per la salvaguardia della biodiversità, poter prevedere la ricchezza in specie o il turnover (velocità di sostituzione delle specie presenti con altre) di un’area in base alle sue dimensioni e alla sua distanza da aree simili diventa fondamentale.

Ed è qui che entra in gioco un’altra caratteristica delle isole: l’annidamento delle specie. Vi ricordate i bei tempi delle elementari, quando portavate il grembiulino, guardavate gli Street Sharks  e a scuola la maestra vi faceva disegnare gli insiemi, mostrando come l’insieme delle mele è un sottoinsieme di quello della frutta? Ecco, è di questo che si parla. Non di Street Sharks, che sono contemporaneamente il meglio e il peggio che gli anni ’90 hanno da offrire, ma di insiemi.

Streex è confuso dalla biogeografia insulare. Non siate come Streex. Immagine www.thatchickensite.com

Streex è confuso dalla biogeografia insulare. Non siate come Streex. Immagine http://www.thatchickensite.com

Se abbiamo una serie di insiemi (che ne so, per esempio un arcipelago di isole) essi si dicono annidati se tutti gli elementi (per esempio le specie viventi sulle isole) degli insiemi più piccoli sono presenti anche in quelli più grandi. AB, ABC e ABCD sono insiemi annidati. AB, OHJ, XYZT non sono annidati. AB, ABC e AXCD non sono perfettamente annidati, ma comunque presentano un certo grado di annidamento. Come si vede in questo semplice esempio, l’annidamento comporta un alto grado di organizzazione degli insiemi fra loro, mentre il totale non annidamento implica la perfetta casualità della distribuzione delle specie.

Nelle isole naturali si è riscontrata una sostanziale tendenza all’annidamento, anche se ovviamente quasi mai perfetto. Come mai le isole tendono a essere così “organizzate” fra di loro? Prima di fidarci dell’interpretazione letterale della Bibbia come  il creazionista di turno che arriverà dicendo “La risposta è nel Cristo, poiché nel Cristo c’è la Verità”, prendiamo in esame alcune altre alternative. Ad esempio, le specie potrebbero avere differenti capacità di dispersione dal continente, per cui le isole più vicine ad esso probabilmente conterranno tutte le specie, mentre quelle via via più lontane soltanto una frazione, composta dalle specie in grado di disperdersi più lontano. Oppure una volta l’arcipelago non era affatto un arcipelago, ma un territorio unico su cui era presente un determinato pool di specie; il territorio si è poi frammentato in isole di dimensioni diverse e magari sottoposte a condizioni diverse, in cui si sono estinte specie diverse a seconda delle loro esigenze. O ancora, le specie potrebbero essere annidate perché legate a tipi di habitat che a loro volta hanno una distribuzione annidata. Può anche capitare che si formino delle aggregazioni prevedibili di specie perché alcuni organismi se ne “trascinano” appresso degli altri, come un ospite a cui sono legati i suoi parassiti o una pianta a cui è legato il bruco che se ne nutre. Oppure è stato direttamente il Cristo. Decidete voi.

Ma tornando alla questione della conservazione ambientale, cosa comporta l’annidamento delle specie? Molto spesso, che sarebbe a dire sempre, in questo campo ci si trova a non poter trasformare in area protetta tutto lo spazio che si vorrebbe, ma si devono fare delle scelte dettate da limiti esterni, tipo il budget per dirne una. Quindi cosa è meglio fare se il mio obiettivo fosse di conservare la maggior parte delle specie di un territorio? Meglio una sola area protetta grande, o tante piccole? Se le specie di un arcipelago tendono a essere annidate, significa che un’area grande conterrà un’ampia porzione della biodiversità del territorio, mentre le aree piccole non solo ne conterranno una porzione più piccola, ma non andranno nemmeno ad aggiungere niente alle aree più grandi, perché dal punto di vista della biodiversità non sono altro che sottoinsiemi di esse. Quindi per la conservazione area grande > area piccola. Letteralmente.

E poi arriva la realtà. Il modello in generale è valido, ma è altrettanto valido per gruppi di organismi diversi? Per un gigantesco bufalo e un minuscolo coleottero? Per un rapido falco che si libra in cielo e una lenta lumaca strisciante? Per un mite cerbiatto vegetariano e un leone carnivoro? Sembra difficile. Facciamoci delle domande. Non smettiamo mai di farci domande e sollevare dubbi, che è il motore della scienza. Anche se in realtà in questo caso qualcuno che si è fatto delle domande già c’è stato – maledizione!

Un esempio relativamente recente di studio basato su questa problematica è quello pubblicato da Hill e colleghi nel 2011. Le foreste pluviali ospitano più della metà di tutte le specie viventi conosciute sul pianeta, e come ormai la maggior parte degli ambienti naturali stanno venendo sempre più ridotte e frammentate dall’attività antropica; di conseguenza, molte persone hanno cominciato a guardarsi nervosamente l’un l’altra lanciandosi eloquenti occhiate di preoccupazione, finché qualcuno non è andato sul campo a vedere esattamente quanto brutta era la situazione e che cosa si poteva fare.

Hill e colleghi facevano parte di quelli che sono stati mandati sul campo, e la loro agenda delle cose da scoprire diceva: “L’annidamento è lo stesso per gruppi di viventi molto diversi?” e quindi “La frammentazione della foresta colpisce allo stesso modo gruppi diversi di animali?”. Neanche a farlo apposta, i gruppi diversi di animali presi in considerazione sono stati gli insetti e gli uccelli. In pratica, una sfida letale fra me e il sempre venerabile fondatore del blog.

Non può che finire così. Immagine modificata da Francesco Lami.

Non può che finire così. Immagine modificata hitlergettingpunched.blogspot.org

A riprova dell’importanza della bibliografia per la ricerca, i dati sugli uccelli sono stati presi interamente da lavori precedenti, mentre gli insetti (per la precisione farfalle, falene e formiche) sono stati campionati in occasione di questo studio. Ovviamente non esistono differenze ecologiche solo fra uccelli e insetti, ma anche all’interno di questi due gruppi: fra gli uccelli c’è chi è carnivoro e chi si nutre di nettare, fra le farfalle c’è la grande volatrice e quella pigra che passa il sabato pomeriggio in mutande davanti alla tv accesa sulla partita, con frittatona alle cipolle, Peroni gelata e rutto libero. E così si è tenuto conto delle abitudini alimentari e altri tratti della biologia delle singole specie (inclusa la lunghezza delle ali di farfalle e falene, che si supponeva legata alla loro mobilità) e dell’ambiente di vita degli organismi.

La mappa delle aree prese in considerazione dallo studio, giusto perché un’immagine seria ogni tanto me la concedo. Immagine Hill et al.

La mappa delle aree prese in considerazione dallo studio, giusto perché un’immagine seria ogni tanto me la concedo. Immagine Hill et al 2001.

E’ saltato fuori che sia uccelli che insetti presentano un evidente rapporto fra il numero di specie e le dimensioni dell’area, come predetto da MacArthur e Wilson; inoltre entrambi i gruppi seguono un pattern annidato, ma gli uccelli sono più annidati degli insetti. Questo, fra le altre cose, mi mette nell’imbarazzante situazione di sentirmi spinto dalle circostanze a fare una freddura  sui nidi degli uccelli, e al tempo stesso di non averne minimamente l’intenzione. Tornando a noi, le conclusioni dei ricercatori hanno risvolti pratici estremamente rilevanti, in quanto da una parte ci indicano che in caso di frammentazione e riduzione delle aree naturali è possibile prevedere con maggiore accuratezza la perdita di biodiversità degli uccelli che degli insetti; dall’altra ci fanno capire che, mentre per quanto riguarda gli uccelli le piccole aree tendono a contenere semplicemente una porzione ristretta delle specie già presenti nelle grandi aree e quindi sono poco rilevanti per la conservazione, per quanto riguarda gli insetti anche le piccole aree assumono una certa rilevanza in quanto è più probabile che contengano anche specie non presenti in aree più estese. Il tutto ricordando comunque che le aree piccole presentano maggior fragilità e cicli ecologici alterati rispetto a quelle grandi, e non sono quindi mai esenti da problemi.

Combinando poi i dati sull’ecologia delle specie con la magia della STATISTICA, si sono potute trarre anche una serie di conclusioni più dettagliate sulla biologia dei singoli gruppi tassonomici. Solo per citarne qualcuna, si è ad esempio visto che sia fra gli uccelli che fra le formiche i carnivori presentano il maggior grado di annidamento e sono quindi più sensibili a frammentazione e riduzione dell’area, in quanto hanno bisogno di ampi spazi per procurarsi il cibo (le prede animali sono molto meno comuni di foglie e semi).

“Io sono la Statistica, e se sei saggio avrai di me timore e rispetto”. Immagine Hill et al.

“Io sono la Statistica, e se sei saggio avrai di me timore e rispetto”. Immagine Hill et al. 2001

E che dire della mobilità? Potrebbe spiegarci quale dei vari processi possibili (estinzione differenziale, diverse capacità di dispersione, habitat annidati, effetto trascinamento, il Cristo) sono alla base dell’annidamento di ogni gruppo di organismi? A volte sì. Ricordate la misura delle ali dei Lepidotteri, usata per stimarne la mobilità? Salta fuori che le vere pigre sedentarie in perfetto stile fantozziano sono le farfalle diurne, mentre le grigie e notturne falene sono molto più mobili, forse perché sentono la pressione sociale di dover competere per gli amori del pubblico contro avversarie molto più appariscenti. Da questo fatto e dai dati sulla distribuzione sembra probabile che alla base dell’annidamento delle farfalle vi siano processi di estinzione differenziale nelle diverse aree, mentre alla base dell’annidamento delle falene vi siano le differenti capacità di dispersione.

In conclusione, abbiamo imparato che nessun uomo è un’isola. Tranne che in ecologia, dove pressoché tutto quello che è circondato da un contesto diverso è un’isola, dalle pozzanghere agli uomini fino agli ultimi frammenti di foresta primordiale.

FONTI
Hill JK, Gray MA, Khen CV, Benedick S, Tawatao N, & Hamer KC (2011). Ecological impacts of tropical forest fragmentation: how consistent are patterns in species richness and nestedness? Philosophical transactions of the Royal Society of London. Series B, Biological sciences, 366 (1582), 3265-76 PMID: 22006967

– WANG Y., BAO Y., YU M., XU G., DING P. (2010): Nestedness for different reasons: the distribution of birds, lizards and small mammals on islands of an inundated lake – Diversity and Distributions 16, 862 – 873

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